Riflessioni intorno al bullismo. Cosa è emerso da una serie di incontri sul tema?

Recentemente, insieme alla mia collega Stella Cutini, abbiamo condotto degli incontri sul bullismo e cyberbullismo, siamo state invitate da Angela Nesti, presidente del comitato dei genitori dell’istituto Sestini di Agliana e dalle catechiste ed educatori della parrocchia di San Piero e della parrocchia di San Niccolò, a condurre gli incontri aperti sia ai ragazzi, di un’età comprensiva dai 12 ai 18 anni, che agli adulti.

Ogni incontro è stato diviso in due parti, una prima parte discorsiva, in cui abbiamo utilizzato la modalità del Circle Time ed abbiamo riflettuto su cosa fosse il bullismo, quali sono le caratteristiche principali che lo identificano, cosa possiamo fare quando ci troviamo ad esserne vittime. Questo ci ha permesso di iniziare creando una cornice teorica relativa al fenomeno bullismo, facendo presente soprattutto tre caratteristiche principali:

  • L’intenzionalita’, cioè la volontà da parte di una persona di creare un danno ad un’altra

  • la ripetitività nel tempo, quindi si parla di atti di bullismo quando perdurano nel tempo

  • la disparità di potere, quindi come il bullo si senta in una posizione di superiorità rispetto alla vittima, che sia età, per prestanza fisica, per modalità aggressive ed a volte anche per numero.

Inoltre abbiamo voluto dare risalto a quella che è la responsabilità personale di ognuno di noi! laddove abbiamo un bullo e abbiamo una vittima, abbiamo anche i cosiddetti astanti, cioè persone che sono presenti a questi atti di prevaricazione e possono scegliere di avere diversi comportamenti, possono incitare il bullo a continuare, possono cercare di aiutare la vittima oppure essere dei meri spettatori.

Abbiamo molto lavorato e molto insistito sul comprendere le dinamiche che si instaurano fra i vari attori all'interno di un atto di bullismo e cercando di generare una riflessione su come una nostra decisione possa influire nello svolgersi degli eventi e su chi possiamo affidarci quando siamo vittime di bullismo. Non abbiamo voluto dare noi una risposta preconfezionata ai ragazzi, ma abbiamo cercato di sviluppare una riflessione da parte loro e far definire a loro chi sono le persone più adatte, quali sono le modalità più idonee in queste situazioni, quasi tutti i ragazzi hanno indicato l'adulto come una persona che può venire in aiuto. L’adulto è visto come una persona capace di bloccare queste situazioni e di fare da mediatore fra i vari personaggi, nessuno di loro ha ritenuto che farsi vendetta da soli fosse una buona strategia, anche chi in passato lo ha fatto, ma ha poi preferito una strada di mediazione.

È stato coinvolgente vedere come nasce questa riflessione, siamo passati attraverso gli esempi pratici di ogni giorno, uscendo dalle scappatoie emotive date dalla teoria, per  addentrarci in eventi accaduti personalmente oppure a persone vicine, c’è stato un processo di decisione nel capire cosa era meglio fare oppure no in caso di bullismo. Una decisione che non era una risposta “da manuale”, ma era una scelta che derivava da una riflessione su esempi pratici e l'adulto veniva sempre descritto come una figura capace di entrare in punta di piedi in questi eventi e capace di districarli nel modo migliore possibile. In parte ho conosciuto anche alcuni di questi adulti, sono i genitori e gli educatori che hanno deciso di intraprendere questo percorso insieme a noi, dando la disponibilità di locali e dando la disponibilità del loro tempo, ma soprattutto mettendosi in gioco. Come vi dicevo una prima parte era più discorsiva e riflessiva, la seconda parte di ogni incontro abbiamo proposto delle attività che potessero essere utili per esprimersi in modo più emotivo, meno filtrato dalla razionalità.

Nel primo incontro sono stati consegnati dei biglietti con sopra delle parole chiave, volutamente ampie nella loro interpretazione chiedendo a ragazzi ed adulti cosa sollecitava in loro quella parola. Nel secondo incontro la parte più esperienziale era dedicata alla creazione di un collage, abbiamo chiesto ai partecipanti di creare un cartellone sul bullismo, fruibile da tutti, comprensibile anche a chi lo vedrà senza aver partecipato al laboratorio. C’è chi ha voluto raccontare il bullismo, chi ha voluto dare delle soluzioni; è stata un'esperienza molto positiva, con molta energia, che ha dato l’input anche ad un confronto fra generazioni, sottolineando purtroppo la presenza di una grossa criticità: i nostri figli gestiscono la tecnologia molto meglio di noi! E allora come si fa?

La strada da percorrere rimane quella del dialogo, del creare una fiducia ed un rapporto aperto con i propri figli, insegnandogli a pensare con la loro testa, a non seguire la massa e facendogli sentire la nostra presenza quando ne hanno bisogno.

Una serie televisiva per parlare dell'adolescenza e dei suoi problemi: Everything sucks!

Una serie televisiva che mi è molto piaciuta e che voglio consigliarvi è “Everything sucks”.

Consiglio la visione a tutti, sia a chi lavora o è genitore di adolescenti, sia agli adolescenti stessi, è un prodotto non eccelso, ma ben fatto dal punto di vista psicologico e dove i personaggi hanno veramente qualcosa da rappresentare e da raccontare, qualcosa di universale che è appartenuto a tutti noi, che ci potrebbe aiutare a ricontattare perdute emozioni, che potrebbero farci capire un po’ di più gli adolescenti di oggi, che avranno sì cellulare, internet e PS, ma ugualmente devono affrontare le nostre stesse sfide evolutive, anzi secondo me, con molte più difficoltà.  

Soprattutto mi ha piacevolmente sorpreso Come è stata trattata la tematica dell'omosessualità, non è un argomento che si trova spesso nei film e nei telefilm che parlano di adolescenti e in questo caso è anche trattato con un assoluto garbo e onestà. Laddove il film “La vita di Adele” tratta l'omosessualità in modo onesto ma molto più esplicito, qui ritroviamo un linguaggio chiaro e uno studio psicologico del personaggio molto ben fatto.

Le tematiche legate all'adolescenza ci sono tutte, il primo amore e lo scompiglio che porta nel nostro essere, le prime delusioni e una costante incertezza su ciò che siamo e su cosa vogliamo diventare.

Everything sucks è un telefilm americano, girato nel 2017 che è visibile su Netflix, per adesso c'è solamente una prima stagione, che racconta la vita quotidiana di due gruppi di studenti della stessa scuola, da una parte abbiamo gli studenti che fanno parte del gruppo teatro dall'altra gli studenti del gruppo cinema e che ricordano un po' la solita diatriba fra il gruppo più cool e quello un po' più nerd. Il telefilm è ambientato negli anni 90, ma realizzato lo scorso anno, questo permette di non percepirlo come obsoleto pur essendo molto fedele nei dettagli, il tipo di narrazione lo svecchia.

Cosa rende la propria coppia una buona coppia?

Quando incontriamo una persona che ci piace, sentiamo scattare l’attrazione e la voglia di flirtare. È un periodo intenso, piacevole, dove ancora niente è stabilito e tutto è ancora indefinito e da costruire, una sorta di danza di corteggiamento. La coppia si forma quando sentiamo di stare bene insieme  e sentiamo di avere con il nostro partner un’intesa sempre maggiore, iniziamo a conoscerci anche nelle piccole cose quotidiane, creiamo una nostra routine. È la fase dell’innamoramento, che ci può condurre a sentire l’altro come il nostro porto sicuro, cioè sentire che l’altro c’è, nei momenti belli e quelli brutti, ci supporta nei periodi di difficoltà e sa gioire con noi per i nostri traguardi. Fin qui tutto sembra lineare, anche le rotture possibili, seppur emotivamente dolorose rientrano in una logica di conoscenza dell’altro e di valutazione di compatibilità. Ma cosa succede dopo che la coppia è diventata stabile? Deve iniziare a costruire il proprio futuro e realizzare il proprio progetto di coppia e di vita, deve soprattutto attraversare momenti di crisi e cambiamenti che testeranno la loro resistenza.

  • cosa significa per voi avere un compagno di vita?
  • vivere in coppia?
  • quali sono gli ingredienti per far funzionare bene la coppia?

Molti autori hanno cercato di identificare gli “ingredienti” necessari per far funzionare una coppia. Una risposta definitiva non c’è, ma alcuni elementi risultano comuni:

  • il rispetto per l’altro e per sé stessi, la pazienza e la capacità di entrare realmente in contatto con l’altro
  • ricercare un contatto intimo, dove essere complici ed autentici
  • prendersi un impegno verso il rapporto, un impegno  che implica costanza, continue attenzioni e ricerca di un tempo da dedicare solo alla coppia, un impegno attivo per la crescita di entrambi

Sintetizzato così, sembra che la coppia ci metta tanto a formarsi e che poi rimanga stabile per tutta la vita. Ovviamente non è così e allora cosa succede? Come scritto in altri articoli in questo blog, la coppia affronta dei momenti critici, quali la nascita dei figli, i cambiamenti lavorativi, la malattia. i rapporti possono diventare tesi e lo scontro spesso diventa più frequente.

Una risorsa importante diventa allora essere capaci di litigare con l’altro; lo scontro, in una relazione intima, in cui ci mettiamo a nudo, è da prevedere e da curare.

Quali sono le regole del buon litigio?

  • Rimanere sul contendere – se si litiga per un evento o per un fatto avvenuto, si litiga solo su quello, senza iniziare con le recriminazioni e rinvangando eventi lontani nel tempo.
  • Evitare termini assoluti - “sei sempre il solito ritardatario”, “sei proprio un cretino”, danno poco spazio all’idea di poter cambiare e migliorare, risultano come un verdetto granitico. Compiamo una  svalutazione dell’altro, dei suoi comportamenti, ma anche di lui come persona.
  • Continuare ad amarsi anche nel litigio. Amare e rispettare colui che abbiamo scelto come compagno di vita, anche se solo per una parte della nostra vita! Per decidere magari insieme anche di separarsi, ma nel modo più rispettoso possibile; soprattutto quando ci sono dei figli, che hanno il diritto di essere il più possibile tutelati e protetti.
  • Potersi prendere anche del tempo per chiarire-  Recuperare la calma e rinviare il momento del chiarimento, per  poter davvero comunicare con l’altro senza volerlo prevaricare!
  • Parlare in prima persona e riuscire a portare i propri sentimenti più che le proprie recriminazioni, mettersi “a nudo” e poter mostrare anche le proprie zone di vulnerabilità. L’altro si sentirà meno aggredito e, invece di mettersi sulla difensiva, potrebbe riuscire a capire meglio cosa proviamo, inoltre questo tipo di comunicazione servirà a noi stessi per riflettere su come funzioniamo e cosa vogliamo dal partner.


Per chi volesse approfondire qui sotto una breve bibliografia:

  • Giommi R., “Vicini di cuore. Parole, sesso ed emozioni: manuale di manutenzione dell’amore”, Sperling & Kupfer, Trento, 2007
  • Benci A.V., “Analisi Transazionale e gestione dei conflitti. Dallo scontro all’incontro:modelli e strumenti”, Xenia Edizioni, Milano, 2009
Pillole di A.T.: Le Carezze

“La carezza perciò serve come unità fondamentale dell’azione sociale. Uno scambio di carezze costituisce una transazione, unità del rapporto sociale” (E. Berne)

Un concetto a me caro dell’Analisi Transazionale è quello delle carezze, o riconoscimenti. Cosa sono? A cosa servono?

Probabilmente stamani entrando in ufficio avete incontrato un vostro collega e vi siete salutati, “Buongiorno, come va?” “Buongiorno, tutto bene, te?”: ecco già questo è uno scambio di carezze. È la dimostrazione che l’altro si è accorto di noi!

Berne parla di fame di stimoli, che è il bisogno di essere stimolati fisicamente e mentalmente sin dalla nascita. Da neonati abbiamo bisogno di essere coccolati ed accuditi, tenuti al caldo, che qualcuno fattivamente si prenda cura di noi, abbiamo bisogno di qualcuno che ci “pensi” e che interagisca con noi, crescendo questo bisogno e desiderio di ricevere riconoscimenti da parte degli altri rimane, cambiano le modalità di scambio delle carezze.

Le carezze sono divise in:

  • verbali e non verbali
  • positive e negative
  • condizionate o incondizionate
  • vediamo si fare un po’ di chiarezza..

se ricevo un complimento, un attestato di stima per qualcosa che ho fatto, io ne sarò contenta, perché qualcuno si è accorto di me e del mio lavoro e mi ha riconosciuto ciò che ho fatto ed in più mi dice che gli è piaciuto. Questa è una carezza verbale positiva. Dopo una presentazione del mio lavoro posso ricevere anche un bel sorriso o un applauso. Questa è una carezza non verbale positiva. Se compro un regalo e la persona che lo riceve mi dice seria che è veramente brutto e che vuole cambiarlo, io sarò delusa e triste. Questa è una carezza verbale negativaSe parlo di un mio problema ad un amico e lui sbuffa, allora questa è una carezza non verbale negativa.

Un ulteriore distinzione che viene fatta è  distinguere se ricevo un riconoscimento che si riferisce alla propria persona (incondizionato) o subordinata a qualcosa che facciamo (condizionata)

Quindi si potrebbe pensare che è meglio niente, l’indifferenza delle persone che mi circondano, piuttosto che le critiche; invece non è così! Come diceva Aristotele siamo “animali sociali”, senza uno scambio, positivo o negativo, con l’altro noi non possiamo vivere!

Pillole di Analisi Transazionale (A.T.): La Strutturazione del Tempo

Ci sono dei concetti di Analisi Transazionale che utilizzo e spiego spesso in terapia o nella formazione; ho deciso quindi di condividerli anche qui, in versione breve e semplificata, una sorta di ampio glossario. Quando delle persone si incontrano e trascorrono del tempo insieme, si può osservare come decidono di strutturarlo insieme. Berne, fondatore dell’A.T., descrive sei possibilità di strutturazione del tempo:

  • isolamento
  • rituali
  • passatempi
  • attività
  • giochi
  • intimità
le persone hanno bisogno di struttura e laddove non la trovano cercano di crearla.
ISOLAMENTO.
Avviene quando decido di isolarmi. Posso stare anche in una stanza con altre persone, ma non mi relaziono con loro, magari mi metto a pensare alla lista della spesa!
RITUALI.
I rituali sono delle interazioni sociali stereotipate e, spesso, dipendenti dalla propria cultura di origine. Se incontro qualcuno per la prima volta e mi tende la mano, io automaticamente la stringo e mi presento.
PASSATEMPI.
Si parla di qualcosa insieme per passare il tempo, senza voler arrivare a nessuna azione o decisione. L’esempio più utilizzato per far capire di cosa si tratta è la conversazione superficiale e leggera di un cocktail party, si parla di tutto e di nulla.
ATTIVITA’.
La differenza fondamentale con i passatempi è il raggiungimento di uno scopo. La comunicazione tra i membri del gruppo ha un obiettivo nel qui ed ora.
GIOCHI.
I giochi sono un argomento vasto e complesso, in questo spazio provo a sintetizzarlo definendoli uno scambio di transazioni, al termine del quale i partecipanti si sentono a disagio. I giochi sono il riproporre strategie e decisioni che un tempo hanno funzionato, ma che adesso non più.
INTIMITA’.
Quando possiamo esprimere le nostre vere emozioni e desideri senza censurarli. Ho la possibilità di essere autentico nell’incontro con l’altro, di potermi mostrare per quello che sono.
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